
CARLA BERTOLA 1935-2023
SALA 1 Opere 1970-1995
SALA 2 Opere 1995-2005
SALA 3 Opere 2006-2023
Si ringrazia l’Archivio personale di Carla Bertola e Alberto Vitacchio di Torino per aver permesso la realizzazione di questa importante antologica che riassume con 71 opere oltre sessanta anni di assiduo lavoro. (1970-2023).
Presentazione di GIORGIO MOIO
Frange d’interferenza tra parole e immagini
Ormai sono più di due anni che ci ha lasciati Carla Bertola, una eccellente poeta visuale e sonora che giocava con le parole: «verso cosa ? / verso chi ? / verso dove ? // Il Capo Stazione lo sa: // Il Capo fila / verso // versi ficcati di tra verso le tra versi ne / in versi one & two // Scusate se imper verso se mi verso / o ti verso un verre per brindare / all’uni verso // intanto attra verso per / scansare il per verso / e con verso con l’intro verso / a Capo retto // PuntoACapo, IL CAPO VERSO, da A.a. V.v., Sul fondo del bianco. Cinque poete verbovisuali, a cura di G. Moio, Bertoni Editore, 2021». E sembra già che sia passato un decennio da quando Bertola è passata a miglior vita, vista la tendenza di collocarla nell’oblio, sospinta da un silenzio “precoce” e incomprensibile sulla sua importantissima attività artistica ultra sessantennale, alimentato da quelle stesse persone che in vita sembravano stimarla. E vanno ringraziate pochissime persone se di Carla Bertola e della sua arte ancora si parla. Una di queste persone è Sandro Bongiani, titolare di un museo virtuale di arte contemporanea ubicato a Salerno (Ophen Art Museum), il quale ha organizzato e curato questa mostra antologica sulle parole, i segni e le immagini che si dispongono lungo una settantina di opere visuali bertolane, dai primi anni ’70 fino al 2023.
Dunque, la scrittura di Bertola ha iniziato un’evoluzione costante alla fine degli anni ’70 incontrando la poesia visuale e poco dopo la poesia sonora. Ma Carla Bertola non nasce come poeta verbovisuale né come poeta sonoro. Inizia negli anni ʼ60 del secolo scorso come poeta lineare, anzi “passatista ma non troppo”, come si definì in quegli inizi. «In realtà scrivevo già a quindici anni», mi confidò. Le prime pubblicazioni furono ospitate su riviste, erano «testi influenzati da poeti che avevo letto in precedenza: Ungaretti, Quasimodo, Gatto… cercando tuttavia una mia scrittura personale. […] Non ricordo esattamente quando scoprii il Futurismo e il Dadaismo, credo fine anni Settanta. Esplorare i loro testi fu fondamentale, mi aprì anche la strada alla poesia sonora e poésie action, che non ho mai abbandonato. Potrei, anzi dovrei, citare almeno qualche poeta verbovisuale [ad es. Arrigo Lora Totino, in particolare per la poesia sonora; Julian Blaine, Eugenio Miccini, ecc.], conosciuto in quegli anni, che fu molto significativo per la mia evoluzione» (Bertola, da Aa. Vv., Sul fondo del bianco, op. cit., p. 15). Potremmo anche sottolineare ˗ forse senza essere smentiti ˗ che la poesia lineare di Bertola precludeva e preclude in sé tratti di “visualità” fin troppo evidenti, e soprattutto le linee guida delle sue performances sonore che poi svilupperà negli anni in giro per il mondo, con Alberto Vitacchio, compagno di una vita. Ma quale poesia lineare? Karl Marx affermava che i “filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo”. Vale anche per il poeta? Certamente. Sono anacronistici i tempi di declamazione del loro esclusivo mondo interiore come gli ermetici o i neorealisti, descrivendo un modo autobiografico della realtà; occorre ritornare a “scoprire” la realtà che ci circonda come una sfida che la trasformi e la rinomini, mettendosi davanti alla storia, non nella storia. E come ci si mette davanti alla storia? Trasformando l’affermazione marxiana: fino ad oggi i poeti hanno scritto fiumi di parole, oceani di parole – e continuano a farlo -, ora si tratta di cambiarle, scrivendone delle nuove essendo legate a linguaggi remoti e usurati. Per realizzare parole poetiche nuove non può che soccorrerci la poesia sperimentale, di ricerca, alternativa e antagonista alla tradizione, manipolando la visione del mondo da un avvilente e remissivo sentimento di falsi feticci. In fondo che cos’è la poesia se non il rendere possibile l’impossibile? E Carla Bertola ci riusciva benissimo. I suoi lavori visuali, a parte i disegni degli inizi, non potevano prescindere dalla parola, dai lacerti delle sue poesie lineari che, quasi sempre scritte a mano, con una grafia elegante ma anche incomprensibile, infantile, volutamente infantile, quindi spontanea, su supporti a volte alquanto strani, come i retini fotografici per la stampa che si procurava in cartolerie di qualche decennio fa, che furono l’inizio del progetto Frange d’interferenza, sul quale non cessò mai di lavorare e sperimentare, passando anche ad aggiungere ritagli di giornale, fili di lana colorati, linee, segni fino all’aggiunta di materiali più disparati: stoffa cucita su cartoncini e/o cartoni, carta colorata, pellicole di alluminio facilmente da cucire e da ripiegare in forme arbitrarie, nastri adesivi, frammenti di rametti, lettere o accenni di lettere, anch’esse spesso cucite come ricami su stoffe anche pregiate, fino a rendere alcuni lavori originali libri d’artista. E a proposito di lettere – intendo le buste con le quali spediamo materiali in tutto il mondo -, a Bertola non andava giù il fatto che molte di esse si smarrivano per strada senza mai arrivare al destinatario o che tornassero indietro dal mittente in pessime condizioni, consumate e rovinate dal doppio viaggio finendo nel cestino della carta straccia. Amando la carta in tutte le sue forme, con queste buste di ogni forma ed epoca – spesso trovate in mercatini e negozi vintage -, sfruttandone le varie cromature e il suo interno, con aggiunte di lacerti di scrittura a mano, realizzò 45 lavori assai singolari che intitolò Metamorphose of undelivered letters. Questa era Carla, un’artista piena di risorse e idee originali.
Ma chi è Carla Bertola? Ha vissuto a Torino dove è nata nel 1935 e deceduta nel marzo del 2023. Artista visuale scrittrice performer promotrice di iniziative culturali ha partecipato a moltissime mostre internazionali. Numerose le mostre individuali così come le performances di poesia sonora e d’azione in varie città europee oltre che in Canada Messico Brasile Cuba. È stata Artist in Residence presso il Sirius Arts Centre in Irlanda nel 2010. Con Alberto Vitacchio, ha eseguito il maggior numero di performences sonore e pièces denominate Poesiteatro. Ha pubblicato soltanto due libri di poesie lineari (almeno in Italia), I Monologhi, (SIC, 1973) e Ritrovamenti (Eureka Edizioni, 2016). I suoi libri verbovisuali libri d’artista e poesie si trovano in molti cataloghi, antologie, collezioni pubbliche e private, riviste cartacee e online («Letteratura»; «Altri Termini»; «Carte Segrete»; «Uomini e Idee»; «Anterem»; «Testuale»; «Salvo Imprevisti»; «Amenophis»; «Plages»; «D(o)cks»; «Dopodomani»; «Risvolti»; «L’Intranquille»; «Otoliths»; «Ulu-late»; «Margutte»; «Utsanga»; «Frequenze Poetiche», ecc.). Una rappresentativa selezione delle sue opere è presente al Museo della Carale di Ivrea. Tra le antologie segnaliamo Poesia Totale (Mantova, 1998); A point of View Visual ʼ90 (Russia, 1998); Libri d’Artista in Italia (Torino, 1999); International Artists’ Books (Ungheria, 2000). Ha editato e diretto dal 1978, insieme a Vitacchio, la rivista internazionale multimediale «Offerta Speciale» e la collaterale “Busta a sorpresa” che conteneva lavori originali di poeti e artisti internazionali e che in più di 50 numeri ha ospitato più di 600 autori, distinguendosi con proposte di testi di poesia sperimentale, lineare e visuale, facendo a meno degli editoriali e della critica. Bertola non è mai stata molto incline al sentimentalismo. Lei giocava con le parole e le immagini. Anche nei suoi testi “seri” si intravedeva una vena ironica e «un’assoluta mancanza di pietà verso me stessa (a detta di un critico che mi criticava anche, meno male)». La poesia bertolana, che diventa tutt’una con quella visuale, è costellata d’ironia spensieratezza allegria; tristezza malinconia aggressive invettive, che a detta della stessa Bertola sono stati i sentimenti sui quali gli editori (italiani, naturalmente) accampavano sempre qualche scusa per non pubblicarla. La poesia visuale di Bertola si compone anche per accumulo, associazione di vocaboli, dissociazioni, allitterazioni, calembours; una fonetica del significante che troviamo anche nella sua poesia sonora e che viviseziona parole e segni con il ritmo e il suono che incalzano ad ogni angolo del foglio che spesso viene occupato (ma sarebbe più adatto dire invaso) in tutto il suo spazio bianco, creando la cosiddetta “parola che si vede”. Possiamo definire tutto il lavoro visuale della Bertola un’interferenza tra la parola e il segno, chirografie su una superficie che ha tutte le caratteristiche di un materiale tessile che ritroviamo spesso come supporto nei suoi lavori. Il punto di partenza di questo percorso artistico di Bertola, al quale ha dedicato tutta la vita – possiamo dire -, alla ricerca e alla sperimentazione nel campo della poesia lineare visuale sonora, nella performance, nel libro d’artista e nell’installazione, non può scindere dalla poesia lineare che ha incominciato a comporre sin da giovanissima e in modo naturale. Come nella poesia lineare, anche nella poesia visuale si registra un’analisi e un dettato del quotidiano privo di sentimentalismi che lasciano ampio spazio a un’abile ironia, una scomposizione e ricomposizione di un altrettanto abile gioco sprezzante che dagli anni ’80 – tenendosi abbastanza lontana dalla poesia visiva basata prettamente sul collage e ritagli di parole tipografiche come slogan, estrapolate da giornali e riviste – si palesa con l’utilizzo del colore e tecniche varie, ad esempio il frottage (tecnica antica, riscoperta dai surrealisti) o con accumuli di grosse lettere tipografiche colorate messe alla rinfusa, una sull’altra, anche su supporti di grosse dimensioni. Per non parlare poi di grafemi incomprensibili racchiusi tra fili di lana, sovente cuciti, a formare figure geometriche che Bertola ha chiamato Filograffiti, annunciando l’approdo, sul tramonto degli ultimi anni, anche a un accenno di scrittura asemica.
«Carla […] sfruttava i richiami che si generavano nell’unire un testo di poesia con l’immagine. Talvolta il testo già esisteva e veniva così adattato e spesso esaltato dall’unione con la parte visuale; altre volte il testo veniva scritto al momento di essere unito all’immagine così da divenire un nuovo lavoro visuale. Ovviamente a monte di tutto questo vi erano le frequentazioni con coloro che in quel periodo già operavano nel campo della poesia visiva (Arrigo Lora Totino ad esempio abitava vicino a noi, gli incontri e le partecipazioni a pubblicazioni che si occupavano sia di scrittura che di visuale in Italia e all’estero» (Alberto Vitacchio, Carla Bertola parolasuonoimmagine, autoprodotto, s.d., pp. 14-15). In conclusione, in questa mostra antologica di Carla Bertola è rappresentata tutta la sua arte, composizioni variegate e differenti: scritture volutamente “infantili” o con macchina da scrivere, o su supporti digitali e disegni figurativi con scritte amanuense, calligrafie più nobili ed eleganti, libri d’artista con pezzi di stoffa, carte colorate accartocciate, stropicciate e ripiegate, frammenti di foglie, bottoni cuciti o incollati, cerini, collage, inchiostri, chine, pastelli, pennarelli colorati dove non mancano intere pagine con scritte a mano tra linee e segni affrancati da ogni regole e schemi: una quantità di materiali per molteplici progetti, anche in piccoli formati, che attendono ancora uno studio critico accurato e profondo.