Gabi Minedi, “Presenze insolite in attesa di un esistere”
“La pittura di Gabi Minedi riflette un mondo particolare, in cui esprime simbolicamente la realtà, cercando di evidenziare aspetti della natura e idiosincrasie universali”. Joan Lluís Montané
Presentazione di Sandro Bongiani, 5 settembre 2024
Viviamo in un mondo anestetizzato fatto di lustrini e payette, per niente conforme alle aspirazioni e ai dettami della libertà dove il denaro e l’apparire corrispondono a un futile esserci. Già negli anni ottanta si era rilevata la possibilità che il potere politico e il sistema globale potesse ingoiare le nostre vite e l’esperienze personali di ogni singolo uomo. Una immane disfatta in cui ritroviamo oggi i segni concreti di questo inutile esistere omologato. Da autentica artista trasgressiva e ribelle, nella vita come nell’arte, Gabi Minedi è stata capace per diversi decenni, di continue incursioni e trasgressioni seguendo una logica e un modo di fare del tutto personale. Artista outsider e radicale della nuova scena underground internazionale, conosciuta per la leggerezza, l’originalità e la sintesi dei suoi personaggi ironici e beffardi che ci costringono a riflettere sulla vita e sul destino infame dell’uomo contemporaneo. La sua rappresentazione può apparire ad un primo approccio ludica e d’impronta semplicemente favolistica, in verità ci segnala, tra realtà e memoria personale, un vissuto carico di umori e di incertezze. Non a caso, la sua pittura raccoglie dalla realtà e da momenti transitori della sua infanzia insolite briciole di senso da consegnare generosamente al presente. Solo la memoria resiste alla vita.
Gabi Minedi, ci racconta di essere nata in una insolita domenica di gennaio a mezzogiorno da un anonimo tubetto di colore verdementa piperita dentro una vecchia valigia di amore bello. Allieva di Pericle Fazzini, già a 15 anni presentava la sua prima personale a San Benedetto del Tronto. Una “enfant prodige” e direi anche “terrible” della pittura italiana nata per essere disagio e rivelazione, vento sottile dell’essere che può tramutarsi in spina, tormento e salvezza. Non conformata a nessun movimento artistico collettivo, irrequieta e nel contempo solitaria, ci giunge come sortilegio e anche come enigma costringendoci a meditare sulla vera natura delle cose.
Nel marasma anonimo e decadente della scena internazionale dell’arte degli anni 80’ e 90’ l’artista nel suo originale viaggio rappresenta insolite presenze frontali dall’apparenza deformata, svuotata e inquieta, in un percorso esistenziale trasgressivo condizionato dagli eventi che riemergono dal fondo della tela con esseri precari carichi di malinconia e di solitudine, definiti in modo essenziale da un colore primario e da una rappresentazione sintetica giocata sul contrasto delle tinte. Nonostante la stesura piatta, l’impronta timbrica delle opere ad acrilico e delle pitture all’uovo; tecnica ormai ignota e difficile da trattare tramandata in gran segreto dall’amico José Ortega, le opere verranno integrate nel tempo anche da inserimenti polimaterici di cartoni, tappi, chiodi, vecchie latte, ritagli metallici, tele, sacchi, sabbia, sugheri, ritagli di stoffe e persino da brani di grafismo metropolitano, di graffi e frasi scritte a denunciare le contraddizioni e la condizione emblematica dell’uomo in questo travagliato momento storico.
Un viaggio sottile e solitario in cui regredire volutamente all’infanzia può permettere di accogliere l’essenza della fantasia per nuove visioni. Semplificare è molto difficile, per farlo bisogna togliere fino all’essenzialità, togliere invece che aggiungere, vuol dire recuperare l’essenzialità delle cose in senso poetico. Lavorare a partire dai mezzi espressivi ridotti quasi all’essenziale resta tutt’ora una delle sue caratteristiche stilistiche che rendono la sua ricerca originale e unica nel panorama contemporaneo. Non la descrizione oggettiva e fedele della realtà ma una indagine introspettiva a scrutare nell’immaginazione momenti e lacerti di realtà condensati in modo lirico nella rappresentazione pittorica, restituendo a noi una visione sintetica e universale di ciò che siamo.
la sua pittura e i suoi personaggi ibridi urlano da tempo a bocca aperta contro la tirannia dell’uomo con insoliti innesti e protesi, esseri che al posto delle gambe possiedono ruote a forma di orologio, valigie, televisori al posto della testa, girandole come meteoriti che cadono dal cielo assieme ai nostri stupidi e inutili sogni, astronavi in attesa di spiccare il volo rinate dalla fantasia ma anche dalla memoria, come per esempio, per l’opera “Terminal Amorebello” del 2009, dedicato al terremoto dell’Aquila e a tutte le sue vittime, ci dice: “… ho visto in stazione un poveraccio con una lunga barba bianca quasi trascinare una valigia a quadretti e le poche cose che gli erano rimaste, i suoi affetti, tutto il suo amore, solo lui e i ricordi! piangeva! sulla vecchia valigia una scritta: “Amorebello”. Una rappresentazione che diviene una sorta di grido cupo e sordo del malessere che possediamo in corpo.
La leggerezza e l’inconsistenza dell'essere come reazione al peso della condizione difficile del vivere caratterizza tutto il suo percorso artistico. Non è un caso se a tal proposito Jean Dubuffet scriverà che:“La vera arte è dove meno te l’aspetti”, in un viaggio colto e sensibile verso l'insolito e l'imprevedibile. Dal 90’ in poi, fino aggi, nasceranno importanti cicli pittorici come Boogie Woogie, The Blues, It Is, El Viajero, Oxygen e oggi l’Orsa Amarena. Non semplicemente un’arte ingenua come si potrebbe pensare, ma una rappresentazione decisamente colta carica di riferimenti letterari che vanno dalla poesia di Dante a quella del Cavalcanti, dal Don Chisciotte di Cervantes alla narrativa di Italo Calvino, da Boccaccio, a Shakespeare, e Cyrano de Bergerac, da Jack Kerouac alla satira di Milan Kundera, con opere di grande suggestione tra metafora, ironia e bellezza.
Un viaggio decisamente sofferto alla ricerca del malessere in cui il mutamento è anche vertigine e rivelazione. Gabi Minedi, crede che una tale ossessione è la condizione essenziale per creare. Da molto tempo coltiva certi inconsueti innesti di pensiero in cui l’omologazione è la regressione, la naturalità, la tecnologia e la virtualità potrebbero essere davvero l’ultima tragica stagione della specie umana. La vita ha senso di esistere solo se si riempie di emozioni, altrimenti non è altro che un trascorrere il tempo in attesa di un ultimo oblio. Chissà se da questa situazione precaria in cui ci siamo arenati da tempo, l’uomo sarà in grado di prendere coscienza dei suoi infiniti problemi oppure continuerà a percorrere quest’affannosa e irresponsabile corsa verso il nulla e il niente?